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lunedì 16 gennaio 2012

L’impronta ecologica nella crisi economica globale

Il rapporto di Living Planet 2010 afferma che la biocapacità totale dell’ecosistema mondiale è di 1,8 ettari produttivi pro-capite, mentre ci dice anche un altro dato come l’impronta ecologica, che è un indicatore sintetico di sostenibilità ambientale, con un dato di 2,2 ettari di territorio produttivo . In questo dato sono raggruppate sei diverse voci: terra idonea alla produzione di cibo, foreste per la produzione di legname e carta, aree di pascolo, aree marine sfruttate, foreste per l’assorbimento di biossido di carbonio e il territorio utilizzato per le varie infrastrutture.

Questo è l’unico indicatore che ci fornisce notizie relative a all’uso che gli uomini fanno della natura. In 40 anni l’impronta ecologica sembra proprio che si sia raddoppiata, l’impronta di carbonio risulta essere aumentata di 11 volte, rappresentando oltre la metà dell’impronta ecologica mondiale, mentre per l’impronta idrica i dati presenti indicano un costante aumento. Tutti i paesi ricchi hanno un impronta ecologica che supera i 10 ettari globali pro-capite, in totale i 31 paesi OCSE, hanno un impronta ecologica pari al 40 % dell’impronta globale. La crisi attuale è nata nella finanza ma ha radici nell’economia reale e nella distribuzione non uguale del reddito. Tutto il sistema capitalistico ha subito una modifica che va dall’innovazione alla mercatizzazione, dall’industria alla finanza. La crisi quindi, ha colpito la finanza, l’economia e così via. La natura purtroppo non è un serbatoio infinito di risorse o un pozzo senza fine per tutti i rifiuti, la termodinamica ci insegna che niente si crea e niente di distrugge.

L ‘ amata tecnologia tanto cara agli economisti p solo informazione immateriale e che può solo ed esclusivamente trasformare senza creare niente. Inoltre ogni volta che si trasforma qualcosa durante la produzione, materia ed energia utile si trasformano in materia e energia inutile. L’impatto che si ha con l’ambiente viene espresso attraverso l’IPAT: dove l’impatto ambientale dipende dalla popolazione in crescita per la tecnologia. Quindi riassumendo il tutto si capisce con deduzione che i guasti ambientali dipendono dal numero degli abitanti del pianeta,dalle cose che si producono e dal modo in cui vengono prodotte.

In duecento anni sono stati disintegrati volumi di energia solare, per il cui accumulo erano stati necessari 200 milioni di anni, quindi a quanto pare la velocità di consumo è 3 milioni di volte maggiore rispetto a quella di produzione allo stato naturale. La green economy potrebbe dare una svolta decisiva alla lotta ai cambiamenti climatici , l’economia verde infatti è composta da prodotti che inquinano poco, dove vengono realizzati con procedure che rispettano l’ambiente e le persone, ma non possono essere incrementate senza l’utilizzo di pubbliche incentivazioni quindi risulta al quanto limitata. Una vera e propria rivoluzione ecologica sarebbe il passaggio all’economia blu, estesa in tutto il mondo con caratteristiche relative al business globale.

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